Ci siamo. Il primo Barolo di Philine Isabelle Dienger, il mio primo figlio. Lei ne produrrà di certo altri negli anni a venire, io non so… E comunque entrambi non vedevo l’ora di guardarli in faccia.
Nei miei pensieri, se il primo si candidava a elevarsi al pari dei grandi re sabaudi, che so io, tipo un Rinaldi dal sapore più “nordico” e misurato rispetto ad alcune sue vecchie annate, certamente dal corrispettivo importante – pochi giorni fa l’ho intravisto online a circa 140,00 euro, prezzo considerevole per una prima annata, uno step più in alto ancora per esempio del Le Coste di Monforte 2019 di Lalù o del Fossati 2020 di Vaira Aurelj e soprattutto di diversi Barolo che, permettimi il francesismo, spaccano da anni il culo in giro per il mondo -, l’altro speravo almeno non si rivelasse un principe dal pianto facile, aspetto che di certo ritenevo più fondamentale della mancanza di lieviti aggiunti o robe del genere per quanto riguarda un qualunque vino, certamente una bella tassa per gli anni a venire. Ok, meglio se la pianto di scherzare…
Insomma, il vino che ho voluto bere subito dopo il lieto evento non poteva che essere il Preda 2020. Per questo motivo, ancora completamente frastornato dal pianto più dolce che abbia mai sentito, mi sono arrampicato sino a La Brinca, dall’amico Matteo Circella, per recuperarne una bottiglia, assieme a una porzione della mitologica “Punta di vitello al forno a legna alle bacche di ginepro”, da portarmi a casa per celebrare il momento… Ma lasciamo pure perdere come poi sia proseguita la serata e concentriamoci sul Barolo Preda 2020 di Philine Isabelle Dienger, 4000 bottiglie prodotte tra cemento e legno da 25 hl non tostato con una macerazione di circa 3 settimane.
Come già detto nel pezzo dedicato a Tom Myers e alla sua cantina, D’Arcy (leggi di più qui!), che con la produttrice tedesca condivide proprio questa splendida vigna impiantata nei primi anni 80 e condotta secondo i principi dell’agricoltura biodinamica, Preda è un MGA dall’esposizione sud/sud-est di una ventina di ettari (alt. 230/300 mt s.l.m.), di cui circa la metà coltivati a vite e ancor meno a Nebbiolo, racchiusa sul lato orientale del borgo di Barolo tra Vignane, Zuncai, Costa di Rose, Boschetti e Monrobiolo di Bussia. Siccome sino a oggi non è mai stato una delle MGA (non c’è la faccio, mi ammazza la poesia) dei “cru” più considerati, che io sappia, l’unico a produrci dichiarandolo in etichetta un Barolo era sino a poco tempo fa Cascina Adelaide.
Dalla prima edizione di quel gran libro edito da Slow Food, la prima volta nel 2000, che è l’Atlante delle Vigne di Langa sappiamo poi che “la Preda comprende la cascina omonima che fu di proprietà di Pira (prestigioso produttore scomparso nel 1980), il quale considerava il Barolo qui ottenuto un po’ “crudo”, poco fine, da miscelare quindi con altre zone.”… Mmmhhh, se metto il naso nel bicchiere stento a crederci. Forse in passato, forse prima dell’evoluzione climatica contemporanea.
Figlio di un’annata come la 2020 – la nitidezza dei profumi, una certa facilità di beva e il medio potenziale d’invecchiamento dei suoi vini dovrebbero esserne i tratti distintivi -, l’attacco è scuro, intrigante, non eccessivo o, a una prima olfazione, particolarmente complesso, ma presente e suggestivo.
Scavando poi sotto all’equivalenza primaria tipica di un Nebbiolo importante, non faticano a emergere un accenno balsamico e uno sbuffo polveroso piuttosto contestualizzanti.
Quello che mi rapisce è però la bocca, giocata sull’amaro grazie a una mordace dote erbacea, un tannino cesellato ma vivo e una notevole carica salina.
Passato un po’ di tempo, quando il palato si abitua alle austerità, il sorso diventa ancora più elegante e piacevole, l’amaro perdura, eppure ci si rende conto di essere davanti a un qualcosa di gradevole già in gioventù, dall’aderenza prolungata e che si fatica a lasciare nel bicchiere.
Quasi una settimana dopo, l’ultimo bicchiere, preservato apposta con un semplice Vacuvin e terminato a tavola con una striscia di salsiccia cruda di Bra e qualche noce di formaggio, equilibra il ricordo dei suoi spigoli tirando fuori una mirabile gastronomicità, maggiore complessità dettata dall’ossigenazione attraverso sfumature di tabacco, cioccolato… Una sensazione eterea molto piacevole. Insomma: dentro c’era un mondo.
Se penso al ciarlare di questi ultimi tempi, il “gusto” del Barolo Preda 2020 mi pare abbracciare un filone alquanto classico, langhetto più che intern… Come? Non ti ho mai raccontato dell’antitesi tra una concezione gustativa molto italiana basata sull’amaro e quella più internazionale che brama una certa croccantezza del frutto? Di la verità: ti sembra una boiata? Probabilmente allora non hai idea di quanti Barolo, di produttori che sono convinto classificheresti come tradizionalisti, oggi escono sul mercato già decisamente godibili, quindi… Beh, intanto ti consiglierei di raffrontare questo vino con la stessa annata del Barolo Preda di Tom Myers che dovrebbe essere uscito proprio in questi giorni. Poi magari ne parliamo.
Cosa? Chi è Philine Isabelle? Ma non potevi dirlo prima? E comunque ora non ho tempo, devo cambiare un pannolino.
PS: curiosando su philineisabelle.com ho scoperto che le visite in cantina presso la sua azienda si svolgono a mo’ di masterclass, ovvero di mattinate passate tra vigna e cantina a imparare da lei diverse cose sul Nebbiolo, sulla sua coltivazione e via dicendo, per poi concludersi con un pranzo conviviale tra i partecipanti. Siccome mi piacerebbe riuscire un giorno a parteciparvi, lascio il racconto della storia della vigneron per quell’occasione.
Nato a Genova non troppi anni fa (più o meno), passo l’adolescenza a chiedermi perché abbia sempre preferito un raviolo cotto sulla stufa a un’exogino, o ancora cosa mi avesse spinto, ancora infante, a scolarmi tutti i fondi di Moscato d’Asti lasciati incustoditi dagli adulti, dopo il brindisi di capodanno, incappando nella mia prima ciucca. Intanto, diventato prima Sommelier Professionista AIS e poi Assaggiatore ONAF, dopo svariate esperienze nel mondo della ristorazione, tra cui il servizio dei vini al ristorante “La Terrazza” del Belmond Hotel Splendido a Portofino, dall’ottobre del 2016 sono entrato a far parte dell’Elenco regionale degli Esperti Degustatori dei Vini D.O.C. presso la Camera di Commercio di Genova per poi bla bla bla… Perdonami, mi sto annoiando da solo. Beh, ti prego di mantenere il segreto, ma sappi che ancora oggi, nonostante sospetti sia colpa degli uomini della mia famiglia, del nonno paterno, commerciante di vino in giro per il nord Italia, di quello materno, agricoltore, combattente e scrittore, e di mio padre, agronomo mancato con il tocco per la fotografia (che io non ho), continuo a chiedermelo qui su Enoplane.com.