Forse in pochi sanno che il termine dispregiativo “sbirri” nasce proprio a Genova, più precisamente all’Oratorio di Sant’Antonio, detto appunto dei “Birri”, dove si formavano le future guardie carcerarie di Palazzo Ducale.

Giravano di notte, con i mantelli, e il pasto che consumavano maggiormente per riscaldarsi dal freddo era una zuppa, un semplicissimo brodo a base di trippa servito con pane raffermo (o gallette del marinaio) e formaggio grattugiato: la sbira.

Genova dall’alto

Consumata sin dal Medioevo, la trippa trova posto in diverse ricette.
A Genova si mangia tutto l’anno, in inverno è accomodata, in estate in insalata. Ultimo pasto dei condannati a morte, la sbira veniva servita caldissima, apprezzata dai camalli nelle bettole e nelle osterie vicino al porto, ma anche servita ai marinai a bordo delle navi dai cadrai, che consegnavano ai bastimenti pasti caldi partendo da Sottoripa, una delle aree del centro storico cittadino. Anche Giuseppe Verdi, in tempi di certo più recenti, pare ne andasse ghiotto.

Oggi le tripperie genovesi sono poche e la trippa si consuma decisamente meno che in passato. La sbira, che nel tempo era comunque stata trasformata, con l’aggiunta di diversi ingredienti, in una specie di variante di quella accomodata, ormai non si trova praticamente più nei menù dei ristoranti – almeno in pianta stabile – perché considerata un piatto troppo semplice, povero e tutto sommato per “palati forti”. Qualcuno ancora la consuma a casa, ma nulla di più…

Tra le pochissime tripperie ancora attive a Genova c’è quella di Vico Casana, nel cuore dei caruggi. Aperta nel 1890 grazie ad Annetta Cavagnaro, la bottega rimane della famiglia per oltre cent’anni, per poi passare a Gabriella Colombo e al marito Franco a partire dal 1984.

Sulle tracce della SBIRA, la zuppa genovese al sapore di STORIA - La Casana - Genova

Franco al lavoro nella sua tripperia

Proprio Franco, nel giorno di pioggia in cui decido di andarli a trovare, mi spiega appunto come “la sbira sta scomparendo, qualcuno viene a comprare da noi il brodo e magari se la fa a casa, ma è un piatto che ormai non viene richiesto.

Mentre parla si appoggia all’antico ronfò ottocentesco fasciato da piccole maioliche marroni, sulla cappa sono appoggiati i pentoloni di rame. Il pavimento alla genovese, il bancone in marmo, i tavoli di legno e marmo mi ricordano che la tripperia è stata inserita nel circuito delle botteghe storiche della città, grazie agli arredi, ai vecchi documenti e agli elementi architettonici molto ben conservati.

L’ottocentesco ronfò

Qui, dove una volta si consumavano migliaia di tazze fumanti di sbira, la trippa oggi si può comprare e su prenotazione, per gruppi di almeno 4 persone,  assaggiare in un menù dedicato: centopelli (la parte più magra) fritta, in insalata con pesto e con cipolle, accomodata (disponibile via telefono anche per l’asporto)… Ma non la sbira.

La trippa accomodata alla genovese

Insomma, in attesa che qualche chef del territorio si inventi di inserirla in carta per regalargli una nuova vita (NdAndrea: proprio pochi giorni fa ho visto online che da Hostaria Ducale ne propongono una loro versione contemporanea ribattezzata “La sbira, trippa in mare”) per assaggiare questo autentico pezzo di storia gastronomica genovese, non credo ti rimanga altra strada che andare a trovare Franco, rubargli la preziosa ricetta e cucinartela a casa. Nel caso però avvisami… e aggiungi un post a tavola. Grazie!

 

Tripperia La Casana
Vico Casana, 3 rosso
16129 Genova (GE)
+39 010 247 4357
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La fotografia della sbira usata in toon per la copertina è stata reperita su www.scoutmenu.it

 

About the Author: Rossana “Roxy” Borroni

Nata in un piccolo paese del ridente hinterland milanese, ho cambiato 15 volte indirizzo di casa e vissuto in 7 città diverse, per poi approdare nella Superba (che ho odiato e amato fin da subito). Sono cresciuta a pane e turismo e pane e viaggi, parlo tre lingue e ho sempre creduto che mangiare sia il modo migliore di incorporare un territorio.
 Sono sommelier AIS e assaggiatrice ONAF, stare a tavola è il mio passatempo preferito insieme alla ricerca spasmodica di realtà enogastronomiche artigianali, sconosciute, con una storia che valga la pena di essere raccontata. Perché raccontare e infondere consapevolezza sono da sempre il fuoco sacro che mi brucia dentro, perché parafrasando Alain Ducasse “mangiare è un atto civico” e soprattutto politico, avrebbe aggiunto Carlin Petrini.

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