Questo non è un vero e proprio post, bensì l’espressione di un disagio personale.
Hai presente quando, dinanzi a una novità, qualcuno dice cose del tipo “questo è il futuro”, “adesso non capisci, ma ti garantisco che rivoluzionerà il mercato”,  o ancora “è quello che cercano gli utenti. Solo che non lo sanno ancora” tentando di appioppartela?
Molto probabilmente in quei casi – a me è già capitato diverse volte – tu e il tuo maledetto ego, neanche troppo sotto i baffi, ve la siete ridacchiata pensando a quale abbaglio abbia preso chi vi sta davanti. O che comunque non accetterete mai alcuna proposta.
Ecco, quasi certamente, ti sarà quindi anche capitato che a distanza di un po’ di tempo, quel benedetto prodotto si sia affermato sul mercato e che tu, pressoché incredulo, abbia continuato a sogghignare ipotizzando che “tanto è solo una moda passegera destinata a cadere nell’oblio nel giro di qualche giorno”.
Poi saranno passati giorni, settimane, mesi, anni… e avrai cominciato pure a pensare quanto sia stupido il genere umano reo del prosperare di una simile idiozia. Magari con la speranza di non cominciare a sognartela la notte, ricordando il momento in cui potevi puntarci assurgendo a nuovo guru invece che rimanere il solito cagacaXXi.
Dai, sono convinto che sai di cosa sto parlando.
Beh, segnati già che per l’Aqvarello, la nuova bevanda aromatizzata a base di vino frizzante naturale, ottenuta dall’alluvionamento con acqua fresca delle vinacce per ricavarne ed estrarne gli ultimi succhi, prodotta da Chioccioli Altadonna e venduta da Velier a mezzo Triple A, finirà più o meno così. E sai già chi è il pirla della storia (io, nel caso oggi non avessi ancora preso un caffè).

Dopo averne prima letto sul magazine online delle Triple A e averne sentito riparlare qualche giorno fa in una chat di avvinazzati come me, ne ho acquistato una bottiglia per assaggiarlo provando a non avere pregiudizi. Pagando pure 6,50 euro di spese di spedizione perché non ho avuto il coraggio di chiedere in giro quale enoteca della zona l’avesse a scaffale. Anche perché presentarmi a chiedere “ciao, avete mica l’Aqvarello?” senza aver ancora ben capito come pronunciarlo e con il forte rischio di dover spiegare cos’era, non mi è sembrata una bella scena.

Il famigerato Aqvarello

Giuro che quando l’ho stappato mi sono ripetuto a mo’ di mantra che nasce da un’idea di Luca Gargano, business man che come tale stimo molto, che senza l’operato di Velier probabilmente berremo tutti molto peggio, che il vino tagliato con l’acqua è stato consumato in campagna sin dalla notte dei tempi (vinello, vinella, acqua fortificata, piquette, acquerello…), che Velier vende addirittura i pomodori di Nossiter, per me un’idolo, che…. E pensa che al naso inizialmente mi ha anche stupito con una gradevole spinta rurale, rustica.

Eppure, mi duole ammetterlo, proprio non ce l’ho fatta. A fare cosa? A farmelo piacere. In bocca, nonostante dietro ci sia un enologo come Stefano Chioccioli, personalmente l’ho trovato piuttosto anonimo, poco consistente, meno di una semplice birra o di una comune bibita, di certo non emozionante.

Da www.velier.it

E poi vederlo inquadrato sul sito di Velier come vino rosso, venduto sull’e-shop delle Triple A (ma mettilo in dispensa o dove altro vuoi, no? Non vicino a certi mostri sacri) a 12,40, praticamente la stessa cifra di molti azzeccati vini quotidiani, anche commerciati dallo stesso distributore genovese, spinto come il vino-alimento simbolo della dieta mediterranea, un ponte tra vecchi e nuovi consumatori (ma di cosa poi? e soprattutto quando si dovrebbe bere realmente? A colazione? Non scherziamo.) e un qualcosa che dovrebbe ricordarmi quello stupendo contadino di mio nonno Pietro, mi ha fatto pensare al Fantozzi nazionale che disquisisce sulla corazzata Potëmkin.

Ah, e sentendomi in colpa, per chiedere scusa a mio nonno, mi sono fatto anche uno cicchetto di grappa, pratica che odio, ma che lui, confrontandosi con le problematiche della sua epoca, avrebbe sicuramente apprezzato anche ad agosto. Alla fine di una giornata di lavoro nei campi però. E adesso dammi dell’ottuso o riversami addosso una pioggia di “questo è il futuro”…

 

E tu? Cosa ne pensi dell’Aqvarello? L’hai già assaggiato?

 

PS: nel corso di una recente due giorni in Valpolicella, mi è stato raccontato da un paio di produttori che il famigerato vinello, qui anche noto come “Graspia”, nacque come sistema per purificare l’acqua da bere quando “tutto era paludoso e malsano”… Vedi tu.

Ma quanto vuoi bene a Enoplane.com?!?

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