Andrea #1: “Buongiorno a tutti, domanda del mattino… Scusate un attimo, ma Fausto Andi come cavolo fermenta? Ho iniziato ad ascoltare il podcast di Ferdy e…”

Edo #1: “Ciao Andre! Quando sono andato a trovarlo sono stato lì 10 minuti, ma questa cosa non gliel’ho chiesta perché, avendo bevuto qualcosina di suo in passato, ho sempre reputato che fossero dei vini il cui specchio aromatico sia da fermentazioni spontanee. Adesso non so perché lo chiedi siccome non riesco a sentire il podcast, ma immagino ti abbia fatto venire il dubbio!”

Andrea #2: “Ehi, sì, anche io l’ho sempre dato per scontato. Quando avete tempo ascoltate il primo quarto d’ora/venti minuti. Siccome parlano di quella cosa lì, mi hanno fatto venire voglia di capire come lavora: fermentazioni, utilizzo di rame e zolfo e… Poi tra l’altro, già che avevo tre secondi, sono andato a cercarmelo su Google ed effettivamente non c’è scritto alcunché da nessuna parte… Ho letto due cose in croce e potrebbe essere un mega abbaglio eh! Intanto mi riservo di finire l’ascolto della puntata.”

Edo #2: “Guarda, io l’unico riferimento che ho è quel piccolo opuscolo che si chiama Red, una guida dei vini naturali nel mondo, su cui Fausto Andi è citato. E poi ho gli assaggi. Del Sottosera 2016, la sua Barbera 44 mesi, dell’Originaldo 2019, uno dei suoi Pinot Nero, di qualche Ascaro e della sua Barbera rosata un paio di anni fa, la Poderosa, che è un vino favoloso su cui secondo me non sono stati usati altri lieviti. Un pochettino resta sempre il baluardo principale di quella che è la nostra passione. Su piccole filtrazioni, aggiunte di solforosa o… direi che si può tenere la porta aperta. Ma proprio anche in termini gustativi. Invece sui lieviti anche no: si standardizzano un po’ sia i nasi che le bocche e più vado avanti più mi accorgo che per me è davvero così. Per dirti, da lui mi ha fatto assaggiare questo bianco 2012, lo Strano, ed era fantastico! No, secondo me non era “lievitato” Andre. Però secondo me eh.”

WhatsApp CONFIDENTIAL: ma come cavolo fermenta Fausto Andi? - RED

WhatsApp CONFIDENTIAL: ma come cavolo fermenta Fausto Andi? - RED #2

Andrea #3: “Ma per carità, ripeto: anche io ho qualche assaggio, anche passato, grazie a un bottegaio della mia zona che lo scoprì non ricordo quando e non ho mai avuto dubbi in proposito… Però sentendo l’inizio del podcast mi è venuta la curiosità di approfondire come lavora e non trovo niente 😅 Di concreto dico.”

Edo #3: “Tra l’altro a supporto di quello che dici c’è da segnalare il fatto che Augusto, suo figlio, è enologo, e consulente di diverse aziende non solo nell’Oltrepò e quindi ha a che fare, ovviamente (e ben venga) con tutto quello che è la gestione tecnica sia degli degli impianti che della cantina… Quindi chi lo sa, bisognerebbe approfondire un po’.”

Endriu #1: “Buongiorno eh 🤣 Poi ascolto il podcast, ma anche a me ha sempre fatto pensare di essere “naturale”. La Poderosa tra l’altro è sempre qualcosa di fantastico.”

Edo #4: “Sto ascoltandolo adesso. Per quello che ho visto io poi lui è così: uno che sembra perdersi in un milione di ragionamenti, che si mette continuamente in discussione. Mi disse: “Non c’è niente di più innaturale del vino”. Però questi ragionamenti qua, secondo me, sono quelli di uno che è sicuramente oltre. Tra l’altro ho bevuto con Aurelio di Casa Caterina, alla cieca, il suo 175 mesi (se non ricordo male). Mi fa: “Che cacchio, che bel vino. Eh ma questo non è italiano, è Francia. Dov’è? Dove siamo?” Tirato giù la calza: “Cazzo, veramente bello.” E Aurelio è un palato, oltre che un combattente. Che poi non so anche lì cosa combini (Andi) per la presa di spuma, ma la verità è che era un vino fantastico.”

Edo #5: “Dal minuto 13 si gioca il tema di cui discutiamo. Secondo me Andre lui qua sta dicendo che useranno sempre gli indigeni, ma probabilmente, probabilmente, a causa dell’utilizzo del rame in vigna, questi indigeni si sono impoveriti e quindi cercheranno di selezionarli per averne che valgano. Ma allo stesso modo anche Sandri (Cascina Disa) dice: “La spontanea è come essere su in montagna. Sei su in alto, al pascolo, e le bestie le fai uscire lasciandole mangiare un po’ dappertutto. Io però le mie bestie, da buon pastore, se riesco invece le porto a mangiare dove l’erba è più buona.” CaXXo gli vuoi dire?”

Andrea #4: “Ok. Quindi ascoltando capisci lieviti selezionati dai suoi stessi grappoli. No?”

Edo #6: “Mi sembra di capire così…”

Andrea #5 in risposta a Edo #5: “Sì, non puoi dirgli niente. Però allora non andiamo a menare le balle ad altri produttori (non Andi eh) perché potrebbe essere la stessa cosa per quanto riguarda i lieviti: da Roberto Conterno e oltre… Molto oltre 😂 La figlia di Barale, Eleonora, quando anni fa andai a trovarli, portava avanti proprio questa ricerca in ambiente universitario. Dopo un pomeriggio passatoci assieme, l’unica cosa di cui fossi certo era che per farmi una vera opinione in merito avrei dovuto iscrivermici anche io.”

Andrea #6: “Comunque sarà per quello che non si trova da nessuna parte la dicitura fermentazione spontanea o simili.”

Endriu #2: “Ora appena ho 5 minuti lo ascolto.”

Edo #7 in risposta ad Andrea #5: “Condivido.”

Endriu #3: “Comunque, anche se sono i suoi, sempre di lieviti selezionati stiamo parlando. Nel senso che anche una pied de cuve è un modo di selezionare i lieviti, ma in maniera più “contadina” ho sempre pensato. L’inoculo di lieviti selezionati, da laboratorio o…, anche se sono i tuoi, penso potrebbe standardizzare un po’ il prodotto siccome fa partecipare alla fermentazione solo quei ceppi di lieviti che tireranno fuori sempre quasi la stessa cosa o comunque qualcosa di meno complesso.”

Edo #8: “Anche questo è vero! Però dall’altra parte se abbracciamo questa linea poi, secondo me, rischiamo di ridurre anche il valore dell’uomo, la sua curiosità e la sua voglia di scoprire sempre qualcosa di più sul suo lavoro. Perché io, per dirti, mi ricordo che quando ho scoperto l’utilizzo del pied de cuve ho detto “Cazzo no”. Partendo sempre da quelle poche cose che sapevo, ho pensato questo fosse un modo di selezionare, però oggi penso che quello che fa sempre Sandri per esempio è semplicemente un enorme atto d’amore per il suo lavoro e questo oggi non mi sento di di criticarlo. Sì è vero, sono dei lieviti selezionati. Però ragazzi ripeto: c’è anche dietro il lavoro di una persona, nel caso di Sandri con un’uva che più di tanto non ti permette, onestamente, e infatti escono fuori dei vini che sono assolutamente fantastici. Oppure mi viene in mente Kurtz che ad esempio usa il piede e pure i suoi vini sono favolosamente selvaggi e diversamente fini, sempre fantastici. Mettiamola così: non sono scorciatoie, è lavoro e passione!”

Andrea #7: “Allora, prendetelo con le pinze perché è veramente un campo, la microbiologia e robe del genere, in cui non mi sento sicuro… Non mi sento sicuro di niente, figuriamoci qui. Però nella quasi totalità dei casi tu produttore ti dovrai affidare a un laboratorio esterno, università o… Poi sono convinto che ci sarà anche chi (magari Andi tramite il figlio?) che fa tutto “in casa”, ma ciò vuol dire praticamente avere un laboratorio interno alla cantina ed ecco, nella mia testa, leva un po’ all’idea di artigianalità… Cioè non lo so, vabbè lasciamo perdere il discorso del mio immaginario che è meglio. Insomma, i lieviti a selezionarli e riprodurli non ci metti tanto perciò, se uno volesse “spendere”, effettua il prelievo ogni anno, forse potrebbero bastare anche 4/5 giorni prima della vendemmia o giù di lì?, così che ogni anno ha vini che rispecchiano pure l’annata. Addirittura, con più prelievi, la singola vigna nella singola annata. Chiaro, ci sarà anche chi effettua il prelievo in un’annata buona, li testa e poi usa sempre quelli. O magari poi ogni tanto ci fa degli aggiustamenti o… Beh, non vuol dire che io sia d’accordo o no su tale pratica, però penso che il funzionamento a grandi linee sia questo. Sicuramente, demandata o interna, avrà un costo, anche solo di tempo o attrezzature. E sarei curioso, molto, di sapere quale. L’atto in sé, eventuali strumentazioni di proprietà (che però ho paura siano insostenibili per una medio-piccola realtà), …”

Edo #9: “E non dimentichiamoci che ci sono anche i lieviti di cantina! Questione che è meglio non approfondire ora 😂 “

Andrea #8: “Sì, per favore. Che poi per qualcuno sono ancora più importanti… Ma sorvoliamo 😅”

Endriu #5: “Polarizzanti addirittura. Sì per favore!”

Endriu #5 in risposta a Edo #8: “Sì sì, ma io non ho parlato di scorciatoie o… Magari al produttore gli viene sta fissa dei lieviti anche solo perché ha visto che un’annata la fermentazione gli è andata meglio. Oppure perché delle volte ha rischiato. Che ne so, una volta gli apiculati gli hanno tirato fuori della note che a lui non piacevano. O ancora perché semplicemente non si fida del pied de cuve. Che comunque è una pratica contadina che si è sempre fatta, ma, come mi hanno detto in diversi produttori, un pochino è anche un modo di selezionare i lieviti, ok? Certo, nei vari casi bisognerebbe capire quali e quanti ceppi sono. Perché se ti fanno la selezione alcuni li mantengono mentre altri li eliminano, e comunque qualche famiglia dovrebbe predominare. Poi in teoria, anche quando lì inoculi, dovresti anche tirare giù bordate di solforosa per inibire gli altri perché sennò non è detto che ti partano quelli che hai inoculato. E comunque, secondo me, ripeto, ti standardizzi un po’ il vino. Su un articolo degli ultimi numeri di Porthos (Porthos #36, “Gestire la complessità. Incontro con Massimo Vincenzini”) c’è un articolo che parla di lieviti, delle fermentazioni spontanee, e c’è anche una bellissima diretta che dura circa due ore, sempre di Porthos, con Giacomo Buscioni, agronomo esperto in microbiologia, (qui il link: https://vimeo.com/417937726) che spiega le tante differenze. La questione è complessa, anche di saccharomyces cerevisiae non è che ce ne sia un solo ceppo, ce ne sono tante famiglie, quindi in base alle condizioni del mosto e del resto, del pH, le temperature e… si scambiano nelle fasi della fermentazione. Magari parte prima uno, poi che so io le temperature iniziano a salire, quello viene inibito e ne parte un altro e poi un altro ancora… E questo porta tantissima complessità rispetto a una o N famiglie che fanno tutto il lavoro da sole e ti tirano tutta la fermentazione. Era questo il mio discorso, non volevo dire che che fossero aiuti, cioè trucchetti o roba del genere.”

Edo #10: “No no, guai Endriu, ho capito che cosa intendi e ti do ragione. Io dall’altra mi vedo un vigneron serio, non uno che cerca scorciatoie, che prova a fare un ragionamento sulle fermentazioni, sperimenta il suo gusto perché poi è sempre quello a cui ci affidiamo tutti, non lo convince tanto su determinate annate, nelle varie pianificazioni si accorge che, cacchio ne so, il tale cru ha degli aromi migliori… Io credo che sia del tutto normale che alla fine se è il tuo lavoro e se ricerchi un qualche tipo di eccellenza vuoi andare fino in fondo a vedere davvero l’intero processo. Fermo restando tutto quello che hai detto prima perché, ripeto, è il cardine sostanzialmente di quella che penso proprio sia la nostra passione, il fatto che ci siamo affezionati a dei vini che erano assolutamente diversi e lo sono ancora adesso. E secondo me quella diversità deriva in gran parte dal fatto che che i lieviti non siano selezionati in alcun modo. E per dire allora anche solfitare leggermente il mosto in quel caso è un modo sostanzialmente di selezionare i lieviti…”

Andrea #9: “Ok, però mi chiedo perché non viene scritto da alcuno? Tipo “fermentazione con lieviti selezionati dalle nostre vigne grazie a…”, “fermentazione con lieviti selezionati dai grappoli con cui in questo anno abbiamo fatto questo vino” o… il cavolo che vuoi? Forse perché pensi che il consumatore è ignorante e tu non vuoi perdere tempo a spiegargli cosa fai? O non ritieni tale pratica importante (cosa che non credo)? O ancora perché tu produttore, nonostante spesso sbandieri ai 4 venti che non ti frega caXXo di nulla, dinanzi a una media che ignora, hai paura di essere etichettato con tutti i rischi del caso? Che poi non vendi più come prima visto che anche se la parola “vino naturale” per te non ha senso hai cavalcato il fenomeno in lungo in largo? Non parlo di un produttore specifico eh, sia chiaro. Veramente.”

Andrea #10: “Tra l’altro a dirlo nel podcast di Ferdy, che ok magari non sarà seguito come l’account di IG, sei un grande secondo me. Significa proprio che non ti nascondi. Andi dico.”

Edo #11 in risposta da Andrea #9: “No dai, facciamo i nomi 🤣”

Endriu #6: “Poi nel podcast Andi dice che il rame fa male ai microrganismi… Ok, però sarebbe interessante capire quanto rame usa. Perché penso che se ne utilizzi in basse quantità e solo quando serve riesci comunque ad avere fermentazioni “normali”, cioè senza grossi o costanti problemi. Poi magari c’è l’annata dove ti può andar male e ti parte lenta oppure che caXXo ne so… 1000 problematiche che ci sono dietro la fermentazione. E poi sono d’accordo col discorso di Andrea. Cioè perché c’è la tendenza a non dirlo? Perché se cerchi da qualche parte nessuno parla delle fermentazioni? Anch’io, tornando ad Andi, l’ho sempre considerato naturale e i vini che ho bevuto non mi sono mai sembrati “finti”. Mai! Ma perché secondo me non stai utilizzando lieviti “industriali”, stai facendo la selezione e ci sta che ti vengono vini del genere. Però mi chiedo che vini sarebbero potuti essere con ancora maggiore complessità data dagli indigeni puri. Magari non sempre, non tutte le annate… Poi boh, secondo me, se a un qualsiasi vigneron non vanno bene le fermentazioni c’è sicuramente dietro un discorso infinto ed eventuali aiuti/strade rischiano di compromettere la naturalità del tutto. Anche solo le quantità di rame e zolfo appunto, sono metalli inquinanti, no?”

Edo #12: “Vero!”

Andrea #11 in risposta a Edo #11: “Ma chiunque si comporti così dai. Veramente non penso a qualcuno in particolare. Per non parlare di chi spumantizza. Tanto sta storia della presa per il culo del termine “vino naturale” è oramai diventata mainstream… Fa figo oramai denigrarlo, come se chi lo usa fosse per forza un pollo che pensa chissà cosa 😂 Non che sia solo un termine per identificare comodamente un segmento, un’idea dietro a una tipologia di vino… Che noia, che tristezza.”

Edo #13: “Sì, bisognerebbe andare lì da lui per capire un pochettino. Io però quello che leggo tra le righe è che c’è una persona che è alla continua ricerca di un Graal e secondo me è meglio una persona che ricerca un Graal che comunque, boh, non lo so, che non un’altra persona che invece dice “In vigna non ci vado troppo” o “Quest’anno il vino ha il brett ed è andata così”, poi fa l’etichetta fica, costa 1 milione di euro, crea un pochettino di hype e… Perché poi sostanzialmente è quello che stiamo un pochettino vivendo ultimamente e il vino molto spesso, passatemi il termine, fa sostanzialmente cagare. Allora non sono più d’accordo, preferisco davvero una persona che si scervella per arrivare da qualche parte, volendo anche con delle soluzioni che potrebbero anche far storcere il naso. E soprattutto senza neanche ipocrisia, perché lui non ha detto quanto rame usa questo è vero, ma perché non gliene frega niente di dire onestamente cosa fa, non si mette a scrivere perché intanto al consumatore medio non gliene frega molto. Chi vuole va lì da lui in cantina. E soprattutto c’è un’altra cosa: “noi” cosa ne sappiamo di quello che fanno i vigneron, “noi” siamo bravissimi perché diamo per oro colato (e non abbiamo possibilità di appurare il contrario) quello che i vigneron ci dicono. A volte quello che “noi” vogliamo sentire dei vini perché poi magari le realtà sono diverse. L’unico metodo, modo o strumento che abbiamo sono il nostro naso e il nostro palato.”

Edo #14: “A me piace quello che ha detto la Foradori, o era la Pantaleoni?, non ricordo: “Il mio è vino, il vostro chiamatelo come volete!””

Endriu #7: “Ma su questo sono d’accordo anch’io, preferisco uno che ci mette passione, studio e tutto quello che ha da metterci, di uno che fa le cose a caXXo di cane e quest’anno è venuto così, lo lo imbottiglio lo stesso e via… Però penso si stiano prendendo un po’ gli estremi, cioè secondo me non è vero che ora stiamo andando da quella parte. Nel senso che prima capitava più spesso che ci fossero vini con palesi difetti, ora secondo me quello che sta succedendo, e che non mi piace ugualmente è, che ci sono troppi vini inutili, che non ti danno niente, non ti emozionano e non ti lasciano nulla. Però è anche vero che sono cambiati i miei gusti, o forse più che i miei gusti dopo tanti assaggi è più difficile che un qualcosa mi emozioni. Un esempio? Di rifermentati ce ne sono una marea, ma la maggior parte sono penosi. Oggi se tu produttore inizi a fare la tua agricoltura biologica/biodinamica e poi inizi a studiare le fermentazioni e… ci sta, per carità, che magari non sei in grado di fare bene subito o che semplicemente non abbia la curiosità di approfondire sin dalla tua prima vendemmia. Lì dipende molto dalla persona, però io se arrivassi a un punto di ricerca dove pensassi che l’unico modo di far vino sia selezionare i lieviti perché… Boh, se mi dovesse capitare, per come sono fatto, credo rimetterei tutto in discussione partendo dalla fase agronomica. Mi pare una cosa leggermente diversa… Poi ci sta ci sta lo studio, ci sta la passione, ci sta tutto quanto, però io sarei andata alla fonte del problema, ok? Chiaro che da un podcast, non ci sono le condizioni di giudicare l’operato di nessuno eh.”

Andrea #12: “Ma infatti sono buone tutte le impressioni che ciascuno di noi ha siccome la questione mi pare assai sottile. Mi chiedevo solo perché in generale di discorsi simili ne vengano fuori svariati proprio adesso? Prima ci si sarebbe azzardati quando era in auge il primo carrozzone del vino naturale? Probabilmente il vino, parlo di piccole produzioni, non di chi sposta, non si vende più perché è naturale, come non si vende più perché è francese – no, francese o soprattutto “giapponese in Francia o…” ancora sì -, come non si vendono più tutta una serie di mode del passato, ma si piazza un po’ più il vino tramite hype, tramite le “immagini” che vengono comunicate sui social o dai media. I vini unicorno? Cosaaa? 😂 In zone blasonate sono spuntati tanti piccoli vigneron che prima, credo, difficilmente sarebbero venuti fuori: ho il dubbio che diversi produttori che hanno sparato così tanto i prezzi verso l’alto oggi potrebbero faticare a vendere tutto… Allora, improvvisamente, per una sorta di filantropia , danno via/in affitto porzioni di vigna o… E da lì  nascono bottiglie che, spalmate su più mercati possibili per creare richiesta, non sempre eh, assolutamente, ma sempre più spesso, sono comunque vendute a prezzi da panico sin dalla prima release. Con l’aiuto dei social dove bastano un paio di manici che in cinque secondi si volatizzano e… Cosa c’entra con i lieviti indigeni e quanto detto precedentemente? Niente, scusate, sto andando fuori tema.”

Andrea #13: “Boh, non lo so, sono discorsi veramente ampi che sarebbe bello fare seduti a tavola, non tavolo, tra appassionati, operatori, produttori…”

Endriu #8: “Comunque mi è appena venuta un’idea stile S-BANCO D’ASSAGGIO o altri format che vanno per la maggiore oggi: sarebbe interessante trasformare questa chat in una serie di articoli, o podcast, una specie di discussione, un dialogo…”

Andrea #14: “Certo… Ma interessante per chi? 😂”

Edo #15: “Raga un tubo mi ha pisciato nel sottotetto ddddddddddddd…”

Fatto sta che qualche settimana fa, durante un pranzo domenicale all’agriturismo Ferdy Wild (leggi di piu qui!), ho avuto modo di scambiare giusto due parole sull’operato di Fausto Andi con Nicolò Quarteroni. Lui che, mi è sembrato di capire, in cantina c’è di casa, oltre al fatto che l’intervista da cui è stato tratto l’episodio del podcast risalga a un paio di anni fa, mi ha raccontato della maniacalità con cui il vigneron di Moriano seleziona i lieviti in vigna, per ogni etichetta e in ogni annata, di come, in realtà, praticamente effettui un trattamento ogni morte di papa e di quanto viva sempre alla ricerca di nuove strade da percorrere per produrre vini che all’assaggio, quel giorno, mi sono sembrati sempre “migliori” e più emozionanti, dallo Strano 2012 al Luogo dei Monti 1988, un fantastico Pinot Nero conservato sino a pochi mesi nella sua cantina e poi dedicato proprio alla famiglia di Nicolò. Non ho pertanto potuto fare a meno di ricordarmi la frase di Edo, ” CaXXo gli vuoi dire?” Niente, solo fargli i complimenti. Il resto sono piacevoli chiacchiere da bar di 3 bevitori appassionati.

Se sei arrivato a leggere sino a qui ci farebbe piacere volessi condividere le tue idee in merito, nei commenti di questo post, con un email o sui social. Dai non farti pregare!

Andrea (Endriu ed Edo) 

 

About the Author: Andrea “Enoplane” Penna

Nato a Genova non troppi anni fa (più o meno), passo l’adolescenza a chiedermi perché abbia sempre preferito un raviolo cotto sulla stufa a un’exogino, o ancora cosa mi avesse spinto, ancora infante, a scolarmi tutti i fondi di Moscato d’Asti lasciati incustoditi dagli adulti, dopo il brindisi di capodanno, incappando nella mia prima ciucca. Intanto, diventato prima Sommelier Professionista AIS e poi Assaggiatore ONAF, dopo svariate esperienze nel mondo della ristorazione, tra cui il servizio dei vini al ristorante “La Terrazza” del Belmond Hotel Splendido a Portofino, dall’ottobre del 2016 sono entrato a far parte dell’Elenco regionale degli Esperti Degustatori dei Vini D.O.C. presso la Camera di Commercio di Genova per poi bla bla bla… Perdonami, mi sto annoiando da solo. Beh, ti prego di mantenere il segreto, ma sappi che ancora oggi, nonostante sospetti sia colpa degli uomini della mia famiglia, del nonno paterno, commerciante di vino in giro per il nord Italia, di quello materno, agricoltore, combattente e scrittore, e di mio padre, agronomo mancato con il tocco per la fotografia (che io non ho), continuo a chiedermelo qui su Enoplane.com.

About the Author: Andrea ” Endriu” Ambu

Cagliaritano DOC classe 1984, Esperto Assaggiatore ONAV e consigliere per la delegazione cittadina della medesima, mi son avvicinato al mondo del vino circa una decina di anni fa, innamorandomi fin da subito del movimento “naturale” e in seguito anche delle fantastiche persone che lo popolano. Galeotto fu un seminario di degustazione in 4 serate tenuto a Cagliari da Sandro Sangiorgi, del quale, pur senza capirci a quel tempo una benemerita mazza, ancora ricordo, per filo e per segno, alcuni degli splendidi vini assaggiati. Mi colpirono per la loro istintività, di come allo stesso tempo riuscissero a essere imprevedibili e conviviali. Un sogno? Aprire una piccola enoteca con mescita. Dove? A Cagliari. E dove sennò.

About the Author: Edoardo ” Edo” Camaschella

Nato ad Aosta nel Marzo del 1977, passo l’infanzia in skate. Poi snowboard, mountain-bike, trail… Musica, sempre, viaggi e contaminazione pure. Nel 2006 una Coulée de Serrant fa nascere in me l’amore per il Vino. Mi informo, assaggio, esploro, leggo e scrivo. Studio! Con ahimè pochissime occasioni di scambio e come sempre, senza indossare divise. Dal 2019 vendo la mia idea di Vino in Valle d’Aosta. Ma in fondo l’ho sempre fatto: raccontandolo agli amici, annoiando Francesca mia moglie, facendo scappare i miei figli, Bianca e Dante! Proprio la condivisione insieme alla natura del gusto, sono i cardini del mio approccio. Che è essenzialmente musicale, non necessariamente tecnico. Sicuramente emozionale e positivo. In una parola: hardcore!

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